COME IL SOLE VERSO L’ALBA CHE FA LUCE MA NON SCALDA

Scelgo una frase della canzone “Immaturi” di Alex Britti dedicandolo a noi, professori, genitori, adulti che non sempre siam lì a dare il buon esempio.
Da giorni spopola la polemica sulla diseducativa e quanto più eccessiva presenza del tremendo mazzo di fiori che si palesa alla fine dell’orale della maturità per festeggiare il candidato o la candidata, i più audaci azzardano anche una bottiglia di spumante, fuori, in cortile.
C’è chi si straccia le vesti al grido di “Ma dove siamo finiti?” o “Alla mia età ci si andava da soli, trainando un carretto di libri, con il bidello che ci prendeva a frustate!”.
È vero il termine esatto è esame di Stato ma direi che è sul tema “maturità” che ci dobbiamo concentrare.
Credo che ci si debba un attimo soffermare sul fatto che tutto cambia nel tempo, si trasforma e nei migliori dei casi evolve, così è successo anche a questo rito di passaggio alla vita adulta. Parlo da prof, appena reduce da questi esami, e porto la mia esperienza osservando le dinamiche di genitori e ragazzi che conosco da 4 anni. Percorrevano quel corridoio eleganti, emozionati, cercando conforto da un semplice sguardo o da qualche commento dei compagni e amici. Vederli in quella nuova veste “adulta” dopo anni di felpe, pantaloncini, abbinamenti random della sveglia che non ha suonato, era un chiaro “Eccoci, siamo pronti ad uscire da qua per il mondo là fuori”. E anche i loro genitori, ancor più emozionati, a tratti commossi, si sono presentati con l’umiltà di chi vuole esserci in un giorno importante ma senza invadenza, e spesso, scorgendo il panico nei loro sguardi, mi limitavo a tranquillizzarli con un sorriso o con un pollice su. Sono rimasta stupita quando una mamma mi ha fermata dicendomi “Io la devo ringraziare per tutto quello che ha fatto in questi anni per questi ragazzi”, no non me l’aspettavo, per il semplice fatto che ho svolto il mio lavoro e fatto il mio dovere niente di più, però in quel momento ho capito che non tutto è scontato e che forse ogni tanto dobbiamo fermarci e dirci “Stiamo veramente aiutando questi ragazzi a crescere?” perché poi le risposte arrivano.
Stiamo sempre lì a dir loro che non sarà un voto finale a decretare la persona che sono e mi sento di dire che non sarà neanche la presenza dei genitori a modificare il loro futuro. Ci si limita sempre a guardare la punta dell’iceberg di una cosa che è molto, molto più complessa. Stiamo parlando di una prova che dal 2019 è cambiata repentinamente, certo anche a causa della pandemia, ma che richiede ai ragazzi uno sforzo enorme e, a parer mio, per niente meritocratico.
All’orale il candidato deve collegare un documento che gli viene proposto (può essere un’opera d’arte, una citazione di un filosofo, una formula di chimica o un testo letterario in lingua) con le altre 7/8 materie, tempo stimato per l’esecuzione dell’operazione: massimo mezz’ora. Voi ci riuscireste? Ve lo dico io, no. Non tanto per la preparazione o meno ma perché sai che in quel momento ti stai giocando il tutto per tutto, quell’orale vale 20 punti e il più piccolo inghippo potrebbe rivelarsi un errore fatale. Poi succede che spesso si cade, si scivola e si esce da quella scuola con un voto ben lontano da quello che si sperava, ben lontano dall’impegno profuso e dallo studio degli ultimi 5 anni, ben lontano da tutto.
Può capitare certo, ma allora che ruolo abbiamo noi “adulti”? Aiutarli, coccolarli o mostrar loro la cruda realtà? Ci siamo mai preoccupati delle conseguenze di certe dinamiche? Ce lo chiediamo ogni tanto “Ma io come reagirei a tutto questo?”??.
Sono uscita da una disastrosa maturità che avevo perso la voglia di studiare perché semplicemente per 5 anni i miei professori mi avevano fatto credere di essere stupida tanto da decidere di intraprendere il percorso universitario dopo mesi dall’orale, perché sì, volevo smettere di studiare. Ogni tanto quell’adolescente lì, sicuramente immatura ai più, fa capolino per ricordarmi che possono cambiare le mode, possono evolversi le situazioni ma l’esame di Stato no, non è mai facile e che quelli che ora sono davanti a quella commissione, come lei un tempo, vanno comunque compresi.
E allora credo che quel mazzo di fiori se lo siano meritato, ce lo saremmo meritato tutti ed è forse questo che non vogliamo ammettere, che avremmo preferito trovare un abbraccio fuori da quell’aula. È UN momento importante della vita che se risulta più sentito non scatenerà gravi ripercussioni sugli eventi futuri, credetemi, e sinceramente da professoressa ringrazio di aver avuto abbracci al sapore di spumante e un mazzo di fiori con un semplice ma enorme “GRAZIE DI TUTTO”, a dimostrazione che c’era dell’umanità in quei corridoi.

Non saranno dei fiori a cambiare il corso degli eventi, dovremmo esser noi a decidere di voler essere quel sole verso l’alba che fa luce ma non scalda o qualcosa di più, perché 18 anni si hanno una volta sola ma le persone che incontri in quel cammino te le porti dentro tutta la vita.

Ai miei maturi di oggi e di ieri, grazie per essere stati i fiori più belli.

Silvia Donati

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